Nel mondo musicale (semplificando brutalmente) possiamo individuare due “macrocorrenti” di pensiero ben distinte: chi rimane sul proprio binario e chi prova a deragliare innovando. Nel primo caso troveremo artisti che trovano una formula vincente, la fanno propria e lavorano per affinare sempre di più la propria arte e ci possiamo inglobare la maggior parte della scena. Non è una cosa necessariamente negativa, la vedo più una scelta filosofica che spesso funziona meglio di quello di cui sto per parlare, quindi ben venga. Il secondo caso è quello più delicato e raro. Non esisterà pace per gli artisti che ne fanno parte, saranno sempre alla ricerca di nuovi stimoli e sono MOLTO più inclini all’errore, ma nel grande marasma di tentativi falliti o malriusciti accendono talvolta una miccia in una direzione inedita, creando una luce meravigliosa da seguire e, perché no, venerare. Siamo tutti testimoni Jean Dawson è chiaramente un innovatore, un diamante grezzo che va protetto per il bene del futuro della musica. Per creare un parallelismo forse un po’ forzato, ma utile per chi non lo conoscesse, credo che con la sua musica abbia il potenziale di creare uno scossone simile a quello che fece Tyler, The Creator al tempo. CHAOS NOW* è il seguito di un album che ho apprezzato molto: Pixel Bath, un prodotto senza dubbio non convenzionale, ma con una sua direzione artistica ben precisa e portata avanti per tutto l’album. Ecco, non è il caso dell’album di cui parliamo oggi. Parlando delle canzoni prese singolarmente, ho apprezzato tra quelle più “rumorose” sicuramente GLORY*, con un ritornello che si appiccica al cervello e non si stacca più, ma sono rimasto attonito da due pezzi nello specifico: PIRATE RADIO* e BAD FRUIT* che di fatto sono due pezzi folk, e l’ultimo è con Earl Sweatshirt, CIOE’ DAI. È uscito un fiore Non c’è modo per descrivervi quanto sia stato felice di essere così stupito in un album del genere, davvero. Il titolo stesso richiama il caos e rende davvero difficile per me spiegare a parole di cosa stia parlando. Io credo che per comprendere l’album dobbiamo immaginarlo come una scatola piena zeppa di mattoncini Lego lanciati brutalmente a terra: visti da lontano non hanno un senso, ma se ognuno si fermasse e si mettesse a montarli a modo suo avrebbe una propria interpretazione della situazione. E credo che a me sia uscito un fiore.