Si dice che nella vita bisogna partire da zero per arrivare in alto: un assunto probabilmente ridondante, a volte quasi scontato e banale. Eppure, è proprio la storia che caratterizza due persone, un ragazzo di 25 anni e una ragazza di 22.
Entrambi fidanzati e giovani matricole della University of Colorado negli Stati Uniti, con in comune il percorso universitario in arte e una sgorgente passione per tutto ciò che riguarda la musica, nel 2005 decidono di creare una band chiamata Chairlift.
L’occasione californiana
Partire dal basso è però faticoso, nonostante tutti gli impegni e sforzi possibili i risultati non tendono ad arrivare.
Se c’è però qualcos’altro che si dice nella vita è che spesso e volentieri è la fortuna ad aiutare gli audaci, ed è proprio questo che accade in una apparente normale serata di un 9 Settembre 2008.
Proprio quel 2008 che fu oggetto di diversi avvenimenti memorabili, quali ad esempio il crac della Lehman Brothers come emblema della crisi globale e la storica elezione di Barak Obama come 44° presidente degli Stati Uniti d’America, consegnò alla piccola band di Colorado una delle più grandi soddisfazioni della loro vita.
Ci troviamo a San Francisco, dove Apple, già all’epoca celebre per essere una delle aziende più innovative e creative sul mercato, presenta i nuovi dispositivi mobile da lanciare sul mercato.
In quella che è nota al pubblico generalista per essere una delle ultime apparizioni ufficiali di Steve Jobs, vengono presentati le nuove versioni dell’intramontabile gamma di iPhone e iPod, in particolare la quarta generazione degli iPod Nano.
Trenta secondi in cui l’azienda di Cupertino illustra il nuovo modello a venire, trenta secondi in cui i fans entrano in contatto con un ritornello che sarebbe poi stato ascoltato in loop in tutti gli spot pubblicitari online e offline: è il ritornello di Bruises, singolo proprio dei Chairlift.
Basta poco e il duo, che in pochi mesi diventerà un trio, si ritroverà una ondata di popolarità tutta da gestire e che porterà ad aprire i concerti di band acclamatissime come MGMT, The Killers e Phoenix.
Provare e riprovare
16 anni dopo quel 9 Settembre 2008, dei Chairlift non c’è più traccia: dopo tre album e altrettanti tour, si sono sciolti nel 2016: l’affiatamento non era più lo stesso e quindi le strade si separarono.
Quella ragazza che però aveva ammaliato occhi e orecchie tra Apple e MTV, con un bagaglio formativo alle spalle e una laurea in arte alla New York University, decide di proseguire la propria carriera artistica da sola.
Prima nel 2013 sotto il nomignolo di ‘Ramona Lisa’, poi nel 2017 sotto l’acronimo di ‘CEP’, poi nel 2019 con il suo nome e cognome: Caroline Polachek.
Al netto della sua avventura nei Chairlift, Caroline ha sempre avuto un netto amore sconfinato per i sintetizzatori: le permettono di esprimere i suoi pensieri, le sue sensazioni e sentimenti come poche altre cose al mondo.
Lo dimostra in ‘Pang‘, album chiamato così perché è l’onomatopea che esprime le scariche di adrenalina quando nel buio della notte riusciva a trovare le melodie giuste per le proprie canzoni.
Il suo album di debutto è un misto tra sogni, dolore, amore ed euforia, il tutto legato da una miscela sperimentale (seppur ancora acerba) tra elettronica e synth-pop.
Nel corso degli anni Caroline Polachek porta avanti il proprio percorso da musicista, fino ad arrivare a prestigiosi traguardi come il Festival di Glastonbury o il Primavera Sound a Barcellona. Tuttavia la sua vena creatrice e sperimentale non si ferma, le scariche di adrenalina nemmeno, ed ecco dunque che nel giorno di San Valentino esce il suo secondo album: Desire, I Want to Turn into You.
La (ri)scoperta di se stessi
“Desire”, “desiderio” in italiano. La cantante newyorkese la pronuncia ben cinque volte nella traccia d’apertura Welcome to My Island, come se fosse un inno o un ossessione.
E’ in realtà il tema di un disco che si muove dalla lunaticità di un Pang caratterizzato dalla ferita di un divorzio e riscopre l’amore nelle sue intere sfacettature.
Il desiderio in fondo è andare al di la del voler fare sesso o partecipare in un atto sessuale con una persona, ma scavare molto più in profondità, con il corpo e la psiche che diventano una grande isola con tutti i connotati annessi.
Welcome to my island
See the palm trees wave in the wind
Welcome to my island
Hope you like me, you ain’t leavin’
Un viaggio nel desiderio che prosegue e si amplifica nei due singoli Bunny is a Rider e Sunset: la prima è sfuggente, misteriosa, riuscendo a scrivere strofe che, seppur non attivamenti “sexy”, risultano decisamente sensuali
But I’m so non-physical
I do, I do, feel like the lady
I do, I do, fireworks blazing
I do, I do, heart is unbreaking
I do, I do, but don’t drop my name
La seconda è la canzone che più strizza l’occhio all’ambiente latino, fondendo elementi di musica folk spagnola e italiana dentro una bolla d’amore in cui Caroline entra con la propria metà, paragonata a un dolce tramonto come si evince nel ritornello:
So no regrets
‘Cause you’re my sunset, fiery red
Forever fearless
And in your arms, a warm horizon
La seconda parte dell’album presenta molta ricchezza in termini di contenuto e sinfonie: un esempio è Fly To You.
La canzone è all’apparenza semplice, forse anche sottotono rispetto alle altre, ma dopo un po’ di ascolti raggiunge il suo massimo splendore e la sua massima struggenza.
Si parla di un amore, che ingabbiato dopo tanto tempo a causa della distanza, riesce finalmente a spiccare il volo. Fantastica è, inoltre, la trasposizione dello scontro tra il desiderio e la stessa distanza.
Ooh, I fly to you
After all the tears, you’re all I need
I fly to you
Not just somewhere deep inside of meDriving through the dark
Lost but I’m free
I’m looking for something
That nobody else can see
Le voci di Grimes e Dido, che assecondano Polachek, sono perfette: arricchiscono la traccia e amplificano le emozioni, facendole crescere sempre di più nel cuore di chi la ascolta.
La canzone successiva, Blood and Butter, anch’essa trae in inganno. Sembra infatti una normale canzone electro-pop con vocals bassi e profondi, fino a metà traccia dove la bolla di creatività e sperimentazione della musicista newyorkese esplode in venti secondi di cornamusa. Questo rompe la classica struttura della canzone e la rendono ancora più unica delle precedenti.
Rischiare o vagabondare?
Desire, I Want to Turn into You non è solo il perfetto seguito di un album di debutto già ottimo come Pang, ma la riuscita di un lavoro di continua e asfissiante ricerca nello sperimentare e provare. Tutto ciò ha portato come risultato un nuovo album ricco di sfumature e tonalità.
Certo, questo disco non è perfetto. Ci sono alcuni, sporadici aloni all’interno del disco in cui non c’è molta inventiva o particolarità, ma tra compiere errori nel cercare di superare i propri limiti ed evitarli ad ogni modo con la conseguenza di mantenere una formula musicale sempre più vecchia e antiquata, Caroline Polachek ha scelto sapientemente.
E tutti ormai, nel campo musicale, non aspettano altro che sentire ancora molto altro da lei.