Che questo sia il vostro primo approccio o meno alla figura di Tyron Frampton (aka slowthai), l’ascolto di UGLY non può fare altro che lasciarvi un segno. Per molti potrebbe essere una lacrima amara, per altri un semplice pugno nello stomaco, per lui sicuramente è la rappresentazione musicale di un urlo stremato.
Uno strappo al passato
Partiamo però con calma, abbiamo tempo. UGLY è solo il terzo album di un talento britannico che fino ad adesso non aveva trovato ancora la formula ideale per esprimersi a pieno. Ci ha provato con Nothing Great About Britain prendendosela con la società, ha riformulato poi con TYRON mettendo sul tavolo le sue due anime: una più spensierata, l’altra più intima e fragile.
Tutti tentativi pregevolissimi di cui vi consiglio l’ascolto, ma in entrambi casi sembrava mancare qualcosa e finalmente in questo album viene fuori tutto in una doccia gelata di realtà e rimpianti.
Va citata anche la sterzata netta che ha fatto in quest’ultima fatica a livello di suono, che si avvicina molto di più al concetto di punk rispetto al rap già sentito nei primi due album, grazie anche all’aiuto in produzione di membri dei Fontaines D.C.
Come avrete potuto intuire più volte dalle mie parole, non si tratta di un album felice e leggero da ascoltare, ma qualora voleste aprirvi a lui durante l’ascolto come ha fatto lui con noi nella stesura del disco, vi assicuro che ne uscirete arricchiti.
Viaggio nella testa di Tyron
L’album parte con Tyron in Yum che parla a sé stesso – guardando però suo figlio nel video della canzone – usando frasi quali:
You are great, you are good
You’re king, you’re queen, you’re a genius
Che per tono e contesto suonano come un tentativo di darsi forza più che una manifesta superiorità. Subito dopo questa introduzione ci catapulta in una sua seduta psicologica appena prima di una crisi di nervi con la terapista che prova in tutti i modi a calmarlo, ma sia lui che l’ascoltatore tempestato da sonorità industrial hip hop (alla Death Grips, per intenderci) non ne vogliono sapere.
Yum è un’introduzione perfetta a quello che ci verrà dato in pasto più avanti, ma una volta finita ci lascia un po’ di tempo per apprezzare i cavalli di battaglia per le radio:
Selfish, Sooner e Feel Good sono i tre brani che più ricalcano lo stile che abbiamo già imparato ad apprezzare di slowthai e ci confermano la sua capacità di accontentare ogni tipo di palato pur suonando generi poco “radio friendly”.
Ma c’è poco da respirare, perché dopo la botta di felicità di Feel Good ci ritroviamo davanti a uno dei brani cardine dell’album.
Never Again è il primo montante che decide di sferrarci: una canzone che ad un primo ascolto può sembrare la solita ballad per alterare i toni, ma man mano che la si analizza rivela la narrazione di una storia vissuta dallo stesso Tyron che merita solo di essere sentita, perché non mi sento nella condizione di poterla commentare, se non per un plauso all’aggiunta vocale di Ethan P. Flynn.
Asciugato il fazzoletto, il ponte di un minuto F*** It Puppet ci riporta senza via di ritorno dentro la mente di slowthai in due pezzi che sembrano andare in conflitto tra loro come HAPPY e UGLY, quando in realtà cercano entrambe di dare una ragione al suo stato d’animo.
Definitivamente corrotto
Quando infine realizza che non c’è realmente una ragione, l’unica cosa che si sente di fare è urlare. E lo fa in Falling. Oh, eccome se lo fa. Lo fa talmente bene da costruirci una canzone che ricalca lo stile di King Krule, ripetendo solo queste frasi:
You ever feel like fallin’?
You ever feel like you’re driftin’ through space?
Wotz Funny comparata con le canzoni che la circondano risulta essere una delle canzoni meno ispirate, ma nonostante questo possiamo apprezzarlo in uno stile più orientato agli ultimi due album degli IDLES, con i quali condivide anche un featuring in Model Village.
Non ci resta che disperare
Ci portiamo sempre più vicini al finale con Tourniquet, la rappresentazione della disperazione e della definitiva mancanza di fiducia nei confronti del prossimo: per Tyron semplicemente non c’è niente da fare e nonostante sia uno degli ascolti più difficili della sua discografia è impossibile non rimanerne toccati.
Toccante è anche l’ultima traccia 25% Club, che sancisce in qualche modo l’accettazione del dolore che ha voluto narrare negli altri pezzi e chiude perfettamente il cerchio iniziato con Yum – Frampton stesso le definisce “gemelle, come le bacchette Harry Potter e Voldemort”.
In Yum si affida a una persona (suo figlio o la psicologa, a seconda del verso) per cercare delle risposte, qui invece cerca di darsele in autonomia.
Ooh, what is real?
I had a vacancy you can fill
We both have to break like porcelain plates
But I got some glue so we can rebuild
Il 25% del titolo non è citato nel testo, ma è inteso come l’ultimo pezzo per finire un puzzle destinato a rimanere incompleto, una lettura amara della realtà, ma perfettamente coerente col filo intrapreso nel resto del progetto.
Il bello di essere brutti
UGLY è un album brutto, è un viaggio senza cinture di sicurezza nella testa di un genio artistico profondamente corrotto da sé stesso e dal suo passato, è un album che parla di salute mentale, talvolta di suicidio e molto spesso di profonda depressione.
È un album davvero brutto, è meravigliosamente brutto, non ha paura di esserlo ed è un atteggiamento che mi sento di premiare con il mio rispetto.