Nello scorso articolo siamo lasciati alle spalle gli snack per stuzzicare il palato, ora è tempo di parlare delle vere portate. Prima di tutto è utile spendere due parole su una doverosa premessa, già in parte citata in precedenza: quella che sto narrando è la mia seconda esperienza al Primavera Sound dopo essere stato presente anche all’edizione del 2022, quindi magari lo stupore della prima volta non era presente, ma non è mancata quella felicità quasi fanciullesca che potreste immaginare in voi pensando di essere in un posto del genere.
A togliere un po’ di entusiasmo purtroppo è stata una probabile febbre (che mai verrà confermata) che mi ha colpito senza lasciarmi pace per tutto questo primo giorno, e – nonostante una Tachipirina mista all’esperienza ultraterrena di sciogliere una pastiglia di Moment in bocca senza la possibilità di accompagnarla con dell’acqua – non è stata una passeggiata di salute, sapendo anche di dovere tenere le forze fino alle 6 del mattino.
Ma partiamo con ordine: fin dall’ingresso l’emozione di potere tornare nella terra promessa era altissima, e dopo un controllo ai tornelli degno dei più tesi episodi di Airport Security e l’immancabile braccialetto di rito, era finalmente ora di entrare con una destinazione ben precisa.
Si aprano le danze
Nonostante abbia provato a studiarmi ogni singolo nome della lineup, era normale che qualcosa potesse passare in sordina. Per questo mi sento di ringraziare il mio amico Luca per avermi fatto scoprire poco prima della partenza una band interamente brasiliana, con una sonorità che ricorda la dolcezza dei primi Foals, ma con la peculiarità di ascoltarla con una lingua come il portoghese: questo e molto altro sono i Terno Rei. Il pubblico era poco, quasi interamente brasiliano ma caldissimo sulle note di pezzi come Medo e Dias Da Juventude. Ricordate di dare sempre una possibilità ai nomi meno quotati come questi, potrebbero sorprendervi.
Finiscono i Terno Rei, le ultime ore di sole del tardo pomeriggio picchiano sui nostri occhi e ci dirigiamo da un altro nome che morivo dalla voglia di vedere. Il modo più efficace di descrivere gli Yard Act è con il semplice termine “inglesacci”, con un leader come James Smith che definire carismatico è un eufemismo e con il vanto di avere collaborato con Sir Elton John al primo album registrato. Forse non ha aiutato un pubblico non particolarmente caldo, ma dal palco si percepiva solo energia e felicità di vivere il momento con noi. Nonostante tutto, al momento di 100% Endurance con un discorso strappalacrime culminato con un “c’mon Primavera, scream for the life!” qualche cuore deve averlo rubato (sicuramente il mio).
Non faccio in tempo a processare quello che ho visto che era già ora di Sudan Archives: violinista con una presenza scenica da invidiare a tante popstar ben più affermate di lei e una verve che mi ha fatto pensare a più riprese a Beyoncè, specialmente in pezzi come Home Maker e Selfish Soul. Concerto strepitoso e pubblico finalmente molto più vivo, ma imparerete a capire che quest’anno il leitmotiv sia “the more, the better”.
Quindi altra camminata, si torna vicino l’ingresso e si ascoltano i Ghost, band hard rock svedese che fa della presenza scenica il vero motivo del prezzo del biglietto. Ammetto che avrei voluto conoscere di più la lore dietro di loro, capire perché il cantante si faccia chiamare Papa Emeritus IV e Wikipedia nomini il resto della band come “a group of Nameless Ghouls”. Vi basti sapere che senza conoscerli, li conoscete già per Mary On A Cross.
Un altro paio di simpatici aneddoti su di loro: a quanto pare nella lore Papa Emeritus IV è stato preceduto da suo padre, ormai defunto e in una teca esposta a un certo punto dello show al centro del palco. Ma Barcellona è un teatro dove l’impossibile diventa possibile, e quindi perché non risvegliarlo con un defibrillatore e fargli fare un assolo di sassofono? Perché è esattamente quello che è successo, davvero.
Volete espiare i vostri peccati? Il papa è stato così magnanimo da fornire a chiunque volesse mettersi in coda un confessionale targato Ghost, che invece di impartirci una sfilza di Ave Maria preferisce regalarci all’uscita delle simpatiche foto ricordo, potendo anche scegliere se a colori o in scala di grigi. Guai a chi dice che la Chiesa non sia in grado di modernizzarsi.
Finita questa mezz’ora spirituale, è ora di tornare nei ghetti e spegnere un po’ il cervello muovendosi con Pusha T, ormai storico rapper newyorkese che vanta produzioni targate Pharrell Williams e Kanye West, e proprio per quest’ultimo ha collaborato in Runaway, una delle mie canzoni preferite in assoluto. Le scalette non erano chiarissime: alcune volte la suonava, in altre occasioni come al Coachella (in quell’occasione da lui rinominato Cokechella sul palco) l’aveva saltata a piè pari. Probabilmente le parole al miele da lui spese durante tutto il concerto riguardanti il Primavera hanno contribuito a regalare a me e chissà quanti altri uno dei tanti momenti indimenticabili di questa edizione.
Piccola nota negativa a margine: a livello sonoro è stato uno dei concerti più deludenti di quest’anno: ci sono stati evidenti problemi all’equalizzazione che facevano sentire solo i bassi, ma non ha comunque inficiato troppo sul giudizio comunque positivo del concerto.
Ora veniamo ad una delle delusioni più cocenti di quest’anno con lo show dei NxWorries (Anderson .Paak & Knxwlegde), su cui, però, non spenderò altre parole, perché su questo sito è già presente un articolo scritto dallo stesso Luca che mi ha consigliato i Terno Rei dove viene fatta un’analisi che condivido in pieno riguardo il loro spettacolo al Fabrique di Milano che ne condivide a pieno i difetti.
L’influenza inizia a farsi sentire sempre più forte, ma almeno siamo riusciti ad assicurarci dei posti vicini alla transenna per un autentico tuffo nella storia della musica da chi ha fatto in tempo a scriverla, riscriverla e nel tempo che è loro rimasto reinventarla. I New Order dal vivo sono uno spettacolo, tra dei visual clamorosi e un’energia da fare invidia a band molto più giovani di loro. Sono passato da commuovermi per Your Silent Face a ballare le hit come Bizarre Love Triangle e Blue Monday.
Torta poi impreziosita dalla ciliegina finale, con l’emozione tra il pubblico che saliva di nota in nota mentre iniziava a riconoscere l’inizio di Love Will Tear Us Apart dei Joy Division, una canzone che mai mi sarei aspettato di poter cantare a un concerto, dedicando un toccato pensiero a Ian Curtis che pur non essendo lì, lo si sentiva in ogni millimetro del Forum.
Provando a riprendere fiato dopo la consapevolezza di avere visto uno dei concerti più belli della mia vita, mi dirigo prima per qualche minuto verso Alison Goldfrapp per notare come conoscessi metà delle canzoni dei Goldfrapp come Rocket e Ooh La La senza saperlo, e poi verso il Cupra, l’unico palco che permetteva la visione del concerto anche da seduti senza il bisogno di un biglietto VIP. Lì suonava Loyle Carner, un rapper londinese che fa dei testi estremamente ragionati e pieni di cuore il suo marchio di fabbrica. Da grande fan è stato difficile rimanere seduto e non buttarmi nella mischia del parterre a cantare ogni singolo pezzo, ma avrò modo di rifarmi con lui qualche giorno dopo, fidatevi.
Se c’era un nome tra quelli non di cartello che avevo segnato con il pennarello rosso più e più volte era proprio quello dei Darkside: un duo formato dal genio musicale di Dave Harrington e Nicolás Jaar, che avrete forse sentito per il suo side project Against All Logic o per i suoi lavori solisti. C’è veramente poco da dire per un concerto del genere, i due sono una forza della natura, è impossibile non rimanere attoniti guardandoli creare davanti a migliaia di persone quella che ha più l’aria di essere frutto di una formula magica piuttosto che musica uscita da degli strumenti.
A malincuore ho lasciato poi i Darkside per dirigermi verso gli Headliner con la H maiuscola di questa giornata: arriviamo nella zona più distante che ospita i due megapalchi principali e da lontano assistiamo a Damon Albarn con i suoi Blur appena riuniti urlare come un’anatra sotto tortura versi incomprensibili nel bridge di Girls & Boys; inutile dire che ci siamo sentiti subito a casa. Nonostante mi sia perso metà dello spettacolo era evidente che il primo ad essere felice di essere lì in quel momento era Damon stesso, e l’impressione da sotto era quella di vedere una grande rimpatriata delle medie con lo stupore di ritrovare l’amico casinaro dell’epoca rimasto esattamente come ce lo si ricordava, magari solo con qualche ruga in più.
Muchas gracias @Primavera_Sound! pic.twitter.com/H7LI9VoBBV
— blur (@blurofficial) June 2, 2023
Dopo avere sentito il finale dei Blur con altre hit come Song 2, la bellissima ballad Tender o la nuova di zecca The Narcisisst e dopo un’altra capatina all’infinito live dei Darkside, ci si decide di riunire prima per una sosta di rifornimento del cibo, poi per assistere ad un live ipnotico dei The Comet Is Coming, che avrei preferito forse vivere in maniera più lucida ad orari più consoni delle 4 del mattino inoltrate per potervelo raccontare meglio.
Nonostante l’evidente stanchezza collettiva, da WhatsApp mi arriva la notizia che i Brutalismus 3000 – gruppo techno tedesco, con quella techno proprio ignorante – avevano appena fatto un remix sped up di Bizcochito di Rosalìa. E allora prendiamo le ultime energie rimaste della giornata, indossiamo gli occhiali tamarri e ci dirigiamo verso quella terrò con me come la cosa più vicina a un rave party che abbia mai vissuto, il tutto ricordando che erano scoccate le cinque del mattino e il sole iniziava timidamente a farsi vedere dal cielo.
Si fanno le sei, molti barcellonesi avranno già iniziato a sgranare gli occhi e a prepararsi la colazione, mentre io e i miei compagni di viaggio ci trascinavamo a fatica nel vialetto di casa con i lampioni per strada che si spegnevano una volta superati da noi; un’immagine poetica che ci ha lentamente portato verso un letto che non ricordavo potesse essere così comodo e verso un sonno che verrà poi interrotto dall’inizio della migliore giornata del festival.
Come nel primo episodio, è disponibile qua sotto la playlist con tutta la musica citata nell’articolo e ascoltata da me nella fase di scrittura.