Se dico la parola “primavera”, a molti di voi verranno in mente le sensazioni date dalla stagione della rinascita, dei paesaggi che tornano ad essere riempiti dai colori degli alberi rigogliosi, dalle temperature che finalmente permettono di uscire in maniche corte.
Tutte cose verissime, ma per me e molti altri appassionati non può che venire in mente il Primavera Sound, un festival musicale ormai itinerante capace di accogliere centinaia di migliaia di persone da tutto il mondo con lineup da strapparsi i capelli e un’atmosfera inimitabile dai competitor.
Arrivati alla ventunesima edizione a Barcellona, il Primavera ha ospitato nella sua storia band e artisti del calibro di Radiohead, Lou Reed, My Bloody Valentine, The xx, LCD Soundsystem, ma anche nomi più vicini al pop quali The Weeknd, Dua Lipa, Gorillaz, Tyler, The Creator e Tame Impala.
Alla lineup di quest’anno ci arriveremo passo dopo passo, ma urge prima fare un disclaimer: in questa serie di articoli non voglio darvi tanto una recensione dettagliata dei concerti visti con una visione critica e puntigliosa della performance o del set, quanto piuttosto un diario di bordo per provare il più possibile a trasmettervi le emozioni che ho provato e che ho ancora ben vivide nella mia testa.
In questo articolo mi concentrerò sugli appetizers, con la cosiddetta Primavera A La Ciutat svoltasi in giro per la città di Barcellona lunedì 29 e martedì 30 maggio, seguita dall’opening day del 31 maggio al Parc Del Forum, la venue dove si è poi svolto il festival vero e proprio.
29/05: Primo giorno di ciutat @ Sala Apolo, RAZZMATAZZ
Tutto inizia alla Sala Apolo, con tre ore di sonno maturate alla mezzanotte del giorno precedente e un CBO del McDonald’s mangiato a fianco al locale, dove ad aprire le danze del festival sono stati i Calibro 35: una delle poche quote tricolori di quest’anno composta tra gli altri da Tommaso Colliva, alla produzione di alcuni album dei Muse. Un set che è andato giù come un bicchiere d’acqua, quasi solo strumentale e con un pubblico già ben disposto, nonostante sembrasse palese che pochissimi conoscessero la band prima di quella sera.
Il piatto forte della Sala Apolo di quella sera erano però i Molchat Doma, una band bielorussa che ha portato sul palco una new-wave dalle tinte sovietiche, canzoni che oscillano tra toni malinconici e ballabili alternate tra loro da dei timidi “spasiba” del cantante Egor Shkutko, ormai stempiato e con uno sguardo arrabbiatissimo.
Finito il concerto non c’è stato nemmeno il tempo di asciugare il sudore (per la maggior parte non mio) che eravamo già su un taxi diretto verso il locale dove avremmo poi chiuso la serata: al RAZZMATAZZ ci aspettavano le Los Bitchos, un gruppo di ragazze inglesi che sembra disegnato da un sarto per comparire nei festival come questo. Pezzi strumentali come Pista (Fresh Start) e The Link Is About To Die hanno infiammato il pubblico che è poi esploso in un improbabile pogo sul finale con Tequila.
Sempre con le Los Bitchos si è creato un simpatico siparietto nell’attesa del concerto conclusivo della serata, con il sottoscritto e un mio amico impegnati a parlare con la bassista e la chitarrista fuori dal locale di pasta alla norma, con loro che sono infine uscite arricchite della conoscenza del MOSE di Venezia; in fondo il Primavera Sound è anche questo.
Chiacchiere e nuove amicizie che si sono protratte fino ad oltre l’inizio dei Black Midi, band capace di farti chiedere se quello che si sta guardando sia reale o se parlando con le Los Bitchos non ci fossimo accorti di fumi tossici provenienti da fuori il RAZZMATAZZ. Davvero, è la terza volta che mi capita di vederli dal vivo e, nonostante la magia dell’amore a prima vista non ci sia più, sono una di quelle band che non potete perdere in un festival del genere. Curioso anche uno “shut the f*** up” lanciato da Matt Kelvin al tentativo di battito di mani fuori tempo del pubblico in una canzone che aveva tutt’altra ritmica.
30/05: Secondo giorno di ciutat @ RAZZMATAZZ
La giornata così finisce, e dopo ore di meritato riposo era già tempo di tornare al RAZZMATAZZ per continuare la carrellata di concerti inaugurali, questa volta senza che ci fosse il bisogno di muoversi in taxi tra un concerto e l’altro. Iniziamo con Blondshell, cantante indie newyorkese che ha recentemente rilasciato il suo primo album self titled e ha già fatto la sua prima comparsata da Jimmy Fallon un paio di mesi fa. Per essere agli albori non ci si può lamentare, ma è apparsa più volte poco immersa nell’atmosfera e più interessata a chiudere che a vivere il momento sul palco, tanto che il set è durato solo mezz’ora, ben 10 minuti meno del previsto.
Da una piccola delusione ci siamo poi spostati a quelli che per me erano una garanzia dal vivo: i PUP hanno praticamente ribaltato a suon di poghi e cattive maniere il pit, con un classicissimo e intramontabile stile punk rock e tanta tanta energia. Curioso a un certo punto lo shout out del frontman a un autodefinitosi settantenne attivissimo per tutto il concerto nel marasma a cui è stata dedicata una delle ultime canzoni.
Il mood della serata cambia poi nuovamente con l’arrivo di Yunè Pinku, produttrice di origini malesi che il Guardian ha definito “con l’abilità di portare la musica da rave verso forme più melodiche”. Da lei traspare grande timidezza: giusto una manciata di sguardi con occhi abbassati a un pubblico non foltissimo. A parlare per lei però è stata la musica, in un loop ipnotico e per molti versi affascinante, tanto da farle guadagnare uno scroscio infinito di applausi di canzone in canzone. Se doveste prendere un nome da segnarvi per il futuro tra questi, sarebbe di certo lei.
Ma il carico da novanta di questo martedì erano i Black Country, New Road, a un anno dall’addio del lead singer Isaac Wood. I brani proposti erano tutti presi dal live album registrato al Bush Hall di Londra, quindi nessuna traccia dei pezzi dei primi due album. Ammetto che avendoli già visti in questa nuova veste allo scorso Primavera e non in forma propriamente smagliante, un po’ di paura prima di questo bis poteva esserci. Paura scacciata dalle prime note del sassofono di Lewis Evans seguite da pubblico e band in unisono che urlano “Look at what we did together, BCNR friends forever”, creando uno dei momenti più wholesome del festival.
La sensazione era quella di stare assistendo a una band finalmente maturata, concentrata al 100% sulla performance e con una fanbase dal raro temperamento. E così tra pezzi pieni di gioia come Up Song si è passati a 10 minuti di climax da pelle d’oca nella bellissima Turbines/Pigs suonata e cantata alla perfezione. Da grande ammiratore del loro lavoro, sono stato sinceramente toccato dal loro evidente miglioramento nelle performance dal vivo.
31/05: Opening day @ Parc Del Forum
Passa un altro giorno e con mercoledì iniziano i primi segnali dell’influenza che mi colpirà il giorno successivo, ma l’adrenalina e la felicità di essere così vicini all’inizio del festival mi fanno passare in secondo piano qualsiasi sintomo, forse complici anche i medicinali presi per evitare di morire in piedi.
Arriviamo quindi nel pomeriggio al Parc Del Forum, un’installazione situata al confine metropolitano della città e affacciata al porto. Un luogo suggestivo, con palchi in ogni dove e un’atmosfera unica nel panorama dei festival. Dopo un primo giro di perlustrazione e una prima birra di riscaldamento, era già tempo di musica con due concerti d’apertura che non hanno particolarmente catturato la mia attenzione: possiamo allora tranquillamente sorvolare sugli show degli spagnoli La Paloma e del britannico Jake Bugg, con quest’ultimo che sembrava interessare solamente a un folto gruppo di suoi conterranei davanti a me, già visibilmente alticci alle 5 del pomeriggio.
L’interesse inizia a salire con l’inizio dello show dei Confidence Man: un duo che combina pezzi molto divertenti da sentire a un festival con delle coreografie e balli tra il folle e il casuale; basti pensare che il concerto si è aperto con una sorta di cosplay della “big suit” di David Byrne in Stop Making Sense. Meravigliosi.
Il mercoledì poi si chiude con il concerto dei redivivi Pet Shop Boys, che nonostante una pronosticabile e comprensibilissima stanchezza dovuta agli anni passati a suonare le stesse hit, hanno infiammato un Forum che aveva occhi solo per loro e i meravigliosi giochi di luce che li circondavano. Era impossibile non cantare a squarciagola le varie It’s A Sin, West End Girls e Always On My Mind.
E così si è chiusa la lunghissima cerimonia di apertura di un festival che ha ancora tanto, troppo da regalare, nonostante le mie condizioni fisiche provassero in tutti i modi a farmi desistere. Queste però sono storie che verranno raccontate nei prossimi episodi. Nel frattempo, buonanotte a tutti, abbiamo bisogno di riposo.
Potete trovare tutte le canzoni che ho citato in questo articolo in questa playlist su Spotify creata per l’occasione, con qualche piccola aggiunta che non fa mai male.