Utopia di Travis Scott è un tiro allo scadere che non entra nel canestro

Travis Scott - Utopia (2023, Sony Music Entertainment)

Chi come me segue il mondo della NBA, sa che i playoff sono il momento più importante della stagione. Il funzionamento è semplice: per vincere il titolo dovrai affrontare quattro squadre da un tabellone e batterne ognuna al meglio di 7 partite, quindi arrivando a vincerne 4 per chiudere la cosiddetta “serie” con il singolo team avversario. Spesso giocando queste serie ci si ritrova dopo gara 4 con il risultato sul 2-2, quindi con una parità assoluta e una grande indecisione su quale delle due compagini la spunterà. La gara successiva viene chiamata pivotal game: chi la vince mette una grande ipoteca sulla serie, dovendo vincere solo una delle due partite rimanenti.

Cercando di trasporre questa analogia al mondo dell’hip hop, UTOPIA di Travis Scott è un album che fin dal suo annuncio nel 2021 – anche se ufficioso – aveva il sapore di un pivotal game contro un primo accenno di declino che la scena sta affrontando, dopo un periodo di inedito splendore negli scorsi 5 anni che lo hanno visto come il genere più ascoltato in assoluto dalle analisi di mercato del settore.

Travis Scott mesi fa portandosi in giro la valigia “top secret”

Prima di partire, credo sia fondamentale avere almeno un’infarinatura su chi sia Travis Scott e da quale percorso creativo sia uscita fuori la sua ultima fatica: tralasciando l’EP Owl Pharaoh del 2013 e altri lavori intermedi, Rodeo nel 2015 prima e ASTROWORLD nel 2018 poi hanno definito la sua cifra stilistica come un trapper capace di innovare un panorama spesso poco permeabile a produzioni particolarmente diverse dal classico album di Sfera, per fare un esempio nostrano. Travis in questi due album ha delle basi capaci di farti sollevare da terra, specialmente nel caso del secondo che mischia alcuni elementi di psichedelia all’immaginario stesso dell’album – vi basti sentire STARGAZING e SICKO MODE per capire cosa intendo.

Non so più cosa sia reale

Menzione d’onore anche al primo caso su larga scala di concerto svoltosi nel mondo virtuale: un esperimento interattivo tra lo stesso Travis Scott e l’ormai famosissimo videogioco Fortnite che nell’aprile 2020 con il mondo intero rinchiuso in casa faceva saltare e sognare milioni di ragazzi che, con lo stupore di un bambino, vedevano coreografie mozzafiato e vivevano in contemporanea un momento che avrebbero ricordato per molto tempo, pur non essendosi mossi di un centimetro dalle proprie mura. Tra gli stupiti ammetto di esserci stato anche io, ed è stato forse in quel momento che ho capito davvero il potenziale di un artista che ancora non conoscevo a fondo.

Abbiamo quindi capito che UTOPIA è il disco di un innovatore, di un personaggio da cui molti aspettano un prodotto capace di sovvertire una terza volta gli schemi ristagnanti di un genere con troppa offerta sul piatto, spesso molto simile l’una con l’altra.

Le premesse dalla opener HYAENA – tra l’altro autoprodotta – suggeriscono uno stile nuovo, con una base dalle tinte quasi egiziane che lasciano ai primi ascolti abbastanza straniti. Non dico che sia una brutta traccia, ma non posso nemmeno dire che sia rimasto particolarmente entusiasta dal risultato.

Il disco è bello lungo, e dopo una dimenticabile THANK GOD prodotta da Kanye West (torneremo dopo a lui, fidatevi) si arriva al primo punto alto dell’album con MODERN JAM, prodotta da sua maestà Guy-Manuel de Homem-Christo, in arte uno dei due caschi del duo francese Daft Punk, e che vede il primo featuring annunciato con Teezo Touchdown che propone un bridge di una potenza allucinante che ha il potere di spaccare la canzone in due parti.

Dalla frenesia passiamo ad un netto cambio di passo con la delicatezza di MY EYES che contiene dei back vocals di Justin Vernon (aka Bon Iver), capace come sempre di fornire un’atmosfera perfetta per una ballad uscita nell’era dell’autotune. Degnissima di nota anche la presenza perfettamente sul pezzo di Sampha, che però avrei sperato di sentire più dei (forse) 20 secondi a lui dedicati.

 

Un piatto insipido

GOD’S COUNTRY è un pezzo che ha già riscosso un discreto successo, ma francamente trovo la base distorta di questa bambina che canta in una tinta quasi horror solo un fastidioso ronzio e lo rende uno dei pezzi più skippabili di tutto il progetto, e nemmeno SIRENS riesce ad entrare nelle mie grazie, se non per uno skit di Drake sul finale che spiega il concetto che sta dietro ad UTOPIA: concetto che avrei voluto sentire più spesso nel corso dell’album, ma che si ferma a questa breve descrizione:

“I thought we were going to utopia?”
“What makes you say this isn’t utopia?”
“I mean, I don’t know, isn’t it supposed to be some perfect destination? This is just your hotel room”
“Yeah, it looks perfect to me”.

Drake che torna aggressivissimo nel pezzo successivo MELTDOWN che riesce a catturare nuovamente l’attenzione dell’ascoltatore che verrà poi catapultato nel pezzo più divisivo dell’album FE!N con Sheck Wes e soprattutto Playboi Carti. Non sono riuscito a sentire opinioni che non fossero radicali su questo pezzo; io la trovo una buona canzone con il solito phisique du role di Carti che viene aggiunto nel featuring per fare Carti, niente di più e niente di meno.

DELRESTO (ECHOES) con Beyoncé sembra proprio una canzone uscita dal suo ultimo RENAISSANCE, vedete voi se considerarlo un bene o un male in un progetto che dovrebbe avere tutte altre sonorità, ma la canzone di per sé è di ottima qualità.

Ciò che invece avrei rimosso abbastanza facilmente sono I KNOW ? e TOPIA TWINS che si guadagnano l’appellativo di filler e che avrei facilmente scartato per snellire i quasi 75 minuti di durata dell’album.

I see the blood on the leaves

In CIRCUS MAXIMUS vediamo la prima delle due presenze di The Weeknd (qui parlo del suo concerto a Milano di settimana scorsa) e sarebbe anche una bella canzone, se non ricordasse tremendamente lo stile di Yeezus del già citato Kanye (ve lo avevo promesso), e potrei dire la stessa cosa di LOOOVE con Kid Cudi. Ora, io non sono uno che disdegna per forza la scelta di rifarsi a sonorità esterne, sono il primo a chiedere nella musica una grande ricerca sul passato e infatti sono entrambe canzoni che ho ascoltato già una buona decina di volte, specialmente la seconda; però posso anche dire che mascherare questa influenza con uno stile un minimo più personale dovrebbe essere una prerogativa in questi casi.

Non parlo di PARASAIL perché lo considero un brano considero dimenticabile e passo direttamente ai SEI minuti di SKITZO con Young Thug che vede sì un cambio di ritmo, ma che allo stesso tempo non regge il peso di una durata così ampia. Non credo sia un pezzo da scartare perché contiene buone idee, ma sicuramente poteva essere accorciato.

LOST FOREVER ci accompagna lentamente alla fine di questo disco con i vocal sempre apprezzati di James Blake e una inspiegabile presenza di Westside Gunn che ha senso come i bermuda a Capodanno: spezza il ritmo e non gli viene dato onore nonostante lo consideri un ottimo artista al di fuori di questo scempio.

A proposito di scempio, K-POP con il già citato The Weeknd e Bad Bunny era il singolo con cui è stato presentato UTOPIA e non c’entra assolutamente niente col resto dell’album: vuole essere la hit estiva da sentire in sovrappensiero, ma riesce ad urtare anche in quel caso. Davvero, è estiva come il ronzio di una zanzara a letto con le finestre aperte.

Non tutto è perduto

Fortunatamente non tutto l’album è così indecente, e ce lo ricorda molto bene TELEKINESIS, probabilmente il pezzo più bello di UTOPIA messo quasi alla fine: synth che aprono la scena e creano quel magnifico senso spaziale che molti si aspettavano dall’inizio da Travis Scott e con una SZA da pelle d’oca in chiusura della traccia, fornendo forse la sua più bella performance vocale. Anche qui si sentono le influenze da Yeezus, ma qui riusciamo anche a sentire una buona impronta autoriale e non ci viene la sensazione di qualcosa di scopiazzato.

Anche l’ultimo brano TIL FURTHER NOTICE con James Blake e 21 Savage aiuta a lasciare un ricordo dolce all’ascoltatore dopo tutte queste note non proprio convincenti e continua quanto di buono si era sentito in TELEKINESIS.

Lascio alla fine un’ultima critica che un occhio attento avrà già notato leggendo la recensione: ci sono TROPPI featuring, troppo variegati tra loro e soprattutto spesso non convergono con l’idea creativa alla base della canzone, andando a proporre una versione che, seppur bella, spezza il ritmo e non permette all’ascoltatore di arrivare a capire l’intenzione originale nella testa di Scott.

In conclusione, il tiro decisivo per il pivotal game – dopo avere toccato più volte il ferro e avere lasciato in silenzio un’intera arena – non è entrato e questo ci obbligherà a vedere una gara 6. Nulla è scritto e non sarà solo questo album a decidere questo trend, ma la strada, invece che spianata, grazie a UTOPIA si fa sempre più in salita.

VOTO: 6,5/10

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