Quando lo storytelling finisce: GNX di Kendrick Lamar
Kendrick Lamar – GNX (2024, pgLang) La vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni statunitensi segna il tramonto di uno storytelling ossessionato dalla coerenza narrativa e apre le porte a un’era dominata dall’imprevedibilità. Mentre l’appello costante di Kamala Harris a difendere la democrazia si scontrava con i comizi-spettacolo del magnate americano, dall’humus culturale occidentale emergeva silenziosamente ma incessantemente un cambio di paradigma. Ma cosa c’entra tutto questo con GNX, il nuovo disco di Kendrick Lamar? È presto detto: nel corso della sua carriera, il rapper di Compton ha dimostrato un’eccezionale abilità nel cogliere e interpretare lo zeitgeist, leggendo con lucidità il clima sociale e politico del suo tempo. Se nei suoi lavori precedenti – come To Pimp a Butterfly, incentrato sull’identità afroamericana, o Mr. Morale & The Big Steppers, focalizzato sull’introspezione e la decostruzione del sé – Lamar costruiva narrazioni potenti e coerenti, con GNX sceglie di rompere gli schemi e sfidare le aspettative. Qui non ci sono cornici narrative definite, né un concept centrale che guidi l’ascoltatore: l’album si affida interamente alla sostanza, alle rime e ai beat, sfidando il pubblico a concentrarsi solo su ciò che conta veramente. GNX si inserisce in un panorama rap sempre più polarizzato, che oscilla tra la prevedibilità della trap alla Future e l’avanguardia sperimentale di artisti come JPEGMafia. Kendrick Lamar, come pochi altri, continua a tracciare una terza via, fondendo accessibilità commerciale e profondità stilistica in un equilibrio che lo rende unico. Abbandonando la ricerca di una coesione tematica rigida, il rapper di Compton lascia che sia il sound a dominare: la produzione, affidata a nomi del calibro di Jack Antonoff, Sounwave e Mustard, è impeccabile. Brani come hey now e tv off esibiscono beat che oscillano tra la tensione e l’esplosività, mentre tracce come luther e gloria, impreziosite dai featuring di SZA, richiamano un’anima soul che bilancia la potenza ritmica dell’album. Non mancano richiami alla West Coast con brani come reincarnated, che campiona addirittura 2Pac, e heart pt. 6, che attinge al repertorio delle SWV, intrecciando passato e presente della black music con straordinaria maestria. La cura nei dettagli produttivi si riflette non solo nella composizione dei beat, ma anche nel bilanciamento sonoro e nella profondità del mix, che esaltano la complessità strutturale del disco. Rimanendo nell’ambito delle gioie per le orecchie, ascoltare un album come GNX significa ricordare quanto sia fondamentale l’uso della voce nel rap, un genere che, non richiedendo particolari doti di estensione vocale, spesso riduce la voce a un semplice mezzo per trasmettere messaggi. Questa tendenza è particolarmente evidente nella trap, dove l’uso massiccio dell’autotune appiattisce le differenze tra molti artisti. Lamar, invece, si distingue per la sua straordinaria abilità interpretativa, che va ben oltre il virtuosismo tecnico: ogni sfumatura della sua voce è pensata per arricchire la narrazione e amplificare l’impatto emotivo. Un esempio emblematico è squabble up: nella prima parte del brano, prima che il beat raggiunga il drop, il tono della voce è alto, carico di tensione; con l’ingresso deciso della cassa, il tono si abbassa, diventando più profondo e assertivo, per poi tornare a salire con energia nei cori che seguono il ritornello. Questo dinamismo vocale non è un mero esercizio di stile, ma il frutto di un’intenzione artistica precisa. Kendrick Lamar non si limita a trasmettere un messaggio: lo vive, lo incarna e lo restituisce con un’intensità capace di creare un legame profondo con chi lo ascolta. La sua capacità di trasformare la narrazione in un’esperienza condivisa è una lezione che molti trapper, inclusi alcuni tra i featuring di GNX, dovrebbero tenere a mente. Con un lavoro così raffinato sull’interpretazione sarebbe facile trascurare i testi, ma Lamar non lascia nulla al caso. Le rime di GNX sono più taglienti che mai e affrontano senza esitazione argomenti spinosi come la faida con Drake e le critiche ricevute per essere stato scelto a esibirsi durante l’halftime show del Super Bowl al posto di Lil Wayne. Tuttavia il rapper di Compton non si limita alla polemica: nella già citata reincarnated esplora l’eredità della musica nera immaginando di reincarnarsi in due figure iconiche del passato, mentre gloria offre una riflessione lucida sul rapporto tra il rap e il peso della celebrità. Paradossalmente GNX potrebbe essere considerato il punto più basso nella discografia di Kendrick Lamar. Tuttavia il fatto che anche il suo lavoro meno incisivo sia così vicino al vertice – rappresentato, per il sottoscritto, da To Pimp a Butterfly – testimonia l’incredibile livello artistico raggiunto dal rapper di Compton. Quando i personaggi pubblici esauriscono la narrazione di sé, ciò che resta è la loro essenza autentica; sarebbe bello se il risultato di questa “operazione verità” non fosse mai un vuoto da riempire con show grotteschi, come presidenti che ballano per 40 minuti sulle note di YMCA, ma sempre la profondità di artisti capaci di incantare con qualità compositive, liriche e interpretative fuori dal comune. Stefano Cazzaro VOTO 0
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