Ghemon, un microfono e un castello: è solo “Una Cosetta Così”
Non credo di far parte della categoria degli “ossessionati” di Ghemon, o meglio: ho quattro vinili, è l’artista italiano ai vertici delle mie classifiche di ascolto su Spotify e, di certo, anche in quelle internazionali, ma non sono uno che lo idolatra in tutto e per tutto. Il primo approccio alla sua musica fu a fine 2017, quando mi innamorai perdutamente di Mezzanotte in un periodo della mia vita in cui, da “ignorante musicale”, stavo esplorando il panorama del nostro Paese. Il conseguente primo concerto che ebbi modo di assistere è stato nel lontano 23 luglio 2018 al Lumen Festival di Vicenza, nel contesto del suo Criminale Emozionale Tour – ma che bomba di canzone è? – e con appresso Le Forze del Bene, la sua band capace di rendere ancora più meravigliose le sue canzoni. In stampelle, con una frattura scomposta a tibia e perone della gamba destra (per un infortunio subito durante in una partita di calcio), mi godetti parte del live perché i miei amici, non così troppo interessati, preferirono girovagare per il Giardino Salvi. Da allora, non ho mai avuto occasione di partecipare ad un altro concerto. Perché a Vicenza – dove sono nato – non è più venuto, perché la tappa di Treviso del 2020 è stata cancellata per la pandemia di COVID-19 e le restanti di Milano – dove mi sono trasferito – coincidevano con le mie trasferte di lavoro. Finché non è arrivata Una Cosetta Così: «Non è un concerto, non è un monologo teatrale e neanche uno spettacolo comico, ma in parte, un po’ di tutto questo». Non ci ho pensato due volte e ho comprato subito i biglietti per la data del 5 aprile a Milano, al Santeria Toscana 31 situato poco distante dal mio precedente appartamento. Peccato che il giorno precedente mi ritrovo la febbre a 39°C e devo dare forfait. «Che rabbia!» pensai, e forse Gianluca ha pensato a me inserendo un nuovo spettacolo il 26 giugno al Castello Sforzesco. Tutto questo preambolo serve a far capire quante aspettative nutrivo per Una Cosetta Così, e direi che sono state ampiamente rispettate in positivo. Poco prima di salire sul palco, Gianluca lancia un messaggio audio in cui invita a usare il meno possibile i nostri smartphone, ovviamente non mancando di fare qualche battuta e strappare qualche sorriso al pubblico. Questo per non svelare tutto lo spettacolo a chi, invece, non ha ancora avuto la fortuna di viverlo – e, infatti, se fate una ricerca nel web non troverete nessuna recensione che ne approfondisce le tematiche. Quindi, di conseguenza, anche chi scrive queste righe non dirà altro nello specifico. Quello che posso dirvi è che al centro della storia è Giovanni Luca Picariello (così all’anagrafe), il rapporto con la sua famiglia, la passione per il rap, la depressione e la sanità mentale, la vita casalinga, Sanremo, la fidanzata e le maratone. Gianluca è uno storyteller perfetto, un flusso continuo di parole e racconti in grado di catturarci in ogni momento. Tuttavia, la sensazione durante le (quasi) due ore è di un progetto ancora in fase embrionale: alcuni passaggi sono troppo ripidi e scollegati, alcuni momenti risultato sottotono rispetto agli altri, così come non sono immediate le canzoni scelte e cantate come intermezzo. Ecco, forse qui risiede la mia delusione perché non è stato pescato nulla dal repertorio di Ghemon, ma le esecuzioni in sé sono state da brividi, soprattutto una “rappata” vecchia maniera. Possiamo, però, apprezzare l’evoluzione del Ghemon rapper al Ghemon cantante, il duro lavoro dietro a questa crescita musicale. Ricordiamo che lo spettacolo è stato scritto da Gianluca insieme a Carmine del Grosso, comico già visto su Comedy Central Italia e in Battute?. Sarà Una Cosetta Così, ma in realtà è stata una sfida estremamente coraggiosa e affrontata con grande spontaneità e spessore. Storia bonus: chiusi i microfoni definitivamente, mi dirigo sul palco per chiedere ai tecnici se c’è la possibilità di un autografo al vinile di Mezzanotte, che tengo in quel momento nella mia sacca. Mi rimandano all’entrata laterale del backstage, dove pongo al tastierista la stessa domanda: ricevo un clamoroso no, ovvero che dovrò aspettare un bel po’ per averlo. Nel frattempo, gli addetti alla sicurezza cacciano dalla zona coloro che non hanno un braccialetto che, scoprirò solo dopo, serve per accedere al “dietro le quinte”. Deluso e ferito, torno a casa senza nulla di desirato in mano, anche se l’unica nota positiva è aver riconosciuto Kiave (Mirko, non ti ho chiesto la foto perché mi sembrava una forma di consolazione). Probabilmente era Scritto nelle Stelle… Luca Basso
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